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24 Nov 2023

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Alcune indicazioni operative .   Gestione delle giornate del 5 e 6 agosto 2021, nel quadro delle attività di CLIMATE4FUTURE   2021

...

Una montagna troppo grande…       

 

 

 

 

  

Alexander Langer

(archivio  

Fondazione

Alexander

Langer)                    

 

 

 

Lettura scenica proposta da  “DSF docentisenzafrontiere Piemonte” .

Iniziativa promossa da “DSF docentisenzafrontiere” (sia nella sua forma nazionale sia con la sua rappresentanza piemontese) e dall’>Assoc. per la Pace e la Nonviolenza , in collaborazione con “Museo Etnografico di Alessandria - C’Era Una Volta”, “I Corsari di Morbello”, “Fondazione Alexander Langer”, “L’Ulivo e il Libro”, “Verso il Kurdistan”, “Associazione ALEx”, “Pro Natura Alessandria”

Realizzata tramite l’impegno dell’Istituto Istr. Superiore “Saluzzo/Plana” di Alessandria che ha fornito supporto culturale, ambientale, tecnico e, soprattutto, ha interpretato magistralmente lo spirito della proposta.

Ideato da Pier Luigi Cavalchini su proposta dei soci fondatori di “DSF docentisenzafrontiere – Piemonte” ETS;

Commento musicale e organizzazione teatrale a cura di Giorgio Penotti;

Coordinamento generale e regia di Pier Luigi Cavalchini

Alcune brevi parole di prefazione che ci fanno entrare direttamente in argomento. Grazie a tutti gli interlocutori che ce le hanno inviate.Edi Rabini (già segretario di Alexander langer nei suoi molti impegni istituzionali)

....

 

Il testo.

(COMMENTO MUSICALE iniziale)

 

(Ambientazione: sono sufficienti poche cose per una ambientazione adeguata:  una serie di leggii, ben distanziati e bene in vista, una illuminazione dall’alto con dominante bianca, possibilmente con “spot” puntati sui lettori o gli interpreti. Sullo sfondo, se possibile una piccola scala integrata al muro (anche disegnato su un fondale bianco). Importante una “porta” sul fondo in cima alle scale (possibilmente) . Servirà per l’idea di “passaggio” dallo stato di vita a quello di “oltre-vita”.

.Apertura sipario. Tutto completamente buio (5 secondi) . Improvvisa accensione di tutte le luci con la scena (palcoscenico se di buone dimensioni) senza persone, solo oggettistica (5 secondi). Di nuovo buio totale per 5 secondi e, infine, riaccensione di tutte le luci con tutti i lettori / le lettrici in scena. Lettori vestiti di bianco o di nero. Immobili. Ancora un ultimo spegnimento generale con simultanea comparsa di due punti luce originati da due torce. Partono dalla grande porta e si muovono lentamente verso destra (la “porta” si trova verso la sinistra del palco…Col buio e le due tracce illuminate si comincia…lentamente).

Ombra (d’ora in avanti OMBR): “Alessandro vieni…Vieni, per favore…”

ALEX (Alexander Langer): “…Che c’è ancora…? (con voce seccata)

OMBR : “Vedi…ancora dopo 30 anni si ricordano di te.  Sei vi…”(viene interrotta da ALEX)

ALEX: “Non pronunciare quella parola. Sono qui e basta…E poi….Sono Alexander…Alex, se proprio vuoi.   (il dialogo si svolge sempre al buio, sempre con i soli due punti luce in movimento lento).

OMBR: “Va bene, va bene, Alex…Ma almeno ascolta…”

(Si illumina la scena e, insieme ai lettori, ben riconoscibili ma praticamente invisibili agli altri, ci sono OMBRA e ALEX)

LETTORE/LETTRICE  1 (d’ora in avanti LETT): (inizio video silenzioso 1) “A 27 anni dalla sua morte volontaria (3 luglio 1995), la figura di Alexander Langer è più attuale che mai. Per certi aspetti, la sua figura è più conosciuta e “riconosciuta” oggi che non quando era in vita, una vita durante la quale ha dovuto subire anche molte amarezze e misconoscimenti. Per questo parlo di lui come “testimone” (oltre che “protagonista”), in un certo senso anche come “profeta” del nostro tempo. Un “profeta” a volte contestato e disconosciuto o ignorato, finché è stato in vita, ma un “profeta” che su molte questioni ha visto più lontano dei suoi contemporanei, ha anticipato - da autentico precursore - i tempi in modo lungimirante, pur non potendo vedere in vita la “terra promessa”.” (2)

ALEX (visibile al pubblico ma non ai “lettori”; si aggira tra i leggii….) “Già sentito un sacco di volte…”

OMBR “Calma…”

LETT 2 – “Langer è stato un protagonista fin da giovane, dapprima nel suo Sudtirolo e poi nella Firenze vivacissima degli anni ’60, fino a quel ’68 che lo ha visto laurearsi per la prima volta (in giurisprudenza), far parte della contestazione studentesca e poi anche della “contestazione ecclesiale” (in particolare all’Isolotto, ma anche in rapporto con don Lorenzo Milani nel 1967), per poi rientrare nella sua Bolzano, dove nel novembre ‘68 ha subito la sua prima denuncia per un volantino antimilitarista di dissenso sulle celebrazioni del cinquantenario della prima guerra mondiale. E nel luglio 1972 si è anche laureato nella ormai famosa facoltà di Sociologia di Trento, dove poi ha pure insegnato nella prima metà degli anni ’80.” (2)

ALEX: “….Interessante (con un sogghigno furbetto)….Occhio, “ombre”,  ora  esce anche il Papa…” (si gira sempre con il suo ghigno disilluso…)

LETT 3 : “Sabato 13 giugno 2015, parlando a migliaia di scout, papa Francesco ha ammonito: “Abbiate capacità di dialogo con la società, mi raccomando: capacità di dialogo! Fare ponti, fare ponti in questa società, dove c’è l’abitudine di fare muri: voi fate ponti per favore”. È esattamente quello che Langer ha fatto per tutta la vita e nel 1986, inviando a “Belfagor” una sua breve autobiografia (“Minima personalia”), ha scritto: “Sul mio ponte si transita in entrambe le direzioni, e sono contento di poter contribuire a far circolare idee e persone”. (2)

OMBR  – “….E ascolta, ascolta un pochino…caro Alex…; non si ferma a quello…”

LETT 4 : “Ancora verso la fine della sua giovane vita, nel 1994, Langer ha così intitolato un capitolo del suo “Tentativo di decalogo per la convivenza inter-etnica”, forse il suo saggio più bello tra i moltissimi che ha scritto: “Dell’importanza di mediatori, costruttori di ponti, saltatori di muri, esploratori di frontiera”.” (2)

ALEX: “Tutto qui…?”

OMBR: “ E ddai…. Ora viene il meglio… Ascolta e ricordati che più passa il tempo, più la macchia d’olio si allarga…

LETT 5 : “Negli anni ’80 cominciano inoltre le riflessioni e proposte di Langer sulla “conversione ecologica”, anche con un rapporto di dialogo con Rudolf Bahro, un marxista “eretico” uscito dalla DDR ed entrato in relazione con i “Grünen” della Germania federale, e con le teorizzazioni sulla “società conviviale” del suo amico Ivan Illich.”

ALEX: “….Bahro…Bel tipo…Come viene descritto ….?.... “Un  marxista “eretico” uscito dalla DDR ed entrato in relazione con i “Grünen” della Germania federale”.  Già …una che la sapeva lunga…Ma – a quei tempi – eravamo tutti bravi a parole…”

OMBR: (zittisce Alex con un cenno gentile della mano)

LETT 1: “Ecco come presenta sinteticamente i suoi valori e obiettivi: “Langer crede poco nell’ecologia dei filtri e dei valori-limite (senza trascurare, tuttavia, la battaglia per gli uni e per gli altri) e si considera impegnato in favore di una conversione ecologica della società: preferire l’auto-limitazione cosciente, la valorizzazione della dimensione locale e comunitaria, la convivialità; non inquinare e realizzare condizioni di giustizia, di pace, di integrità della biosfera, piuttosto che inseguire rimedi, aggiustamenti e disinquinamenti sempre più sofisticati ed artificiali per tentare di correggere condizioni di vita sempre più ingiuste, degradate, violente e povere di senso; l’ecologia ha bisogno non solo di provvedimenti e riforme, ma anche di una dimensione spirituale e di valori profondi”.

OMBR:  “Quasi trent’anni e sono ancora lì a discutere, partendo da quello che hai pensato e scritto…”  (Alex, però, fa finta di non ascoltare, preso dai suoi pensieri; è girato verso il muro)

LETT 2: “…preferire l’auto-limitazione cosciente, la valorizzazione della dimensione locale e comunitaria, la convivialità; non inquinare e realizzare condizioni di giustizia, di pace… come quando Alexander Langer parlava di riconciliazione fra persone di tre gruppi linguistici diversi. Proprio il giornale “Alto Adige” (….e qui si interrompe per l’imperioso scatto d’ira di Alex che provoca un movimento d’aria improvviso con il conseguente volo di fazzoletti colorati; questi ultimi sono piazzati in diversi punti della scena)

ALEX: (con un cenno della mano cerca di fermare una delle lettrici…)
LETT 2: (ma lei continua…raccoglie i fazzoletti, li rimette sul filo – tirato per l’occasione su un lato della scena -… e va avanti). “Dicevamo…. per l'Alto Adige Il dibattito sulla c.d. "legge Ferrari" - ossia l'estensione dell'obbligo del patentino - rischia di produrre un'altra volta effetti contrari a quelli che si potrebbero in buona fede auspicare e che forse lo stesso proponente e coloro che avevano co-firmato e/o votato il suo emendamento avevano in mente. (3)

C'è un primo e nobile argomento a favore: in una società plurilingue è essenziale che tutti i servizi a disposizione del pubblico funzionino senza discriminazione linguistica. Ognuno deve potersi rivolgere con fiducia allo sportello, all'addetto, al centralinista, alla direzione, al bigliettaio, al poliziotto... sapendo che sarà capito nella propria lingua ed avrà risposta adeguata. Ciò dovrebbe essere - a mio avviso - un obiettivo forte, da condividere largamente, che potrà richiedere qualche sforzo ad ognuno, ma che va difeso fermamente. L'alternativa sarebbe una sorta di esclusione linguistica, dovuta a servizi monolingui: una società (e l'abbiamo avuta a lungo!) dove una parte dei cittadini si trova fortemente svantaggiata perchè non riesce a farsi capire o ad essere servita in modo comprensibile, e finirebbe per "sentirsi all'estero", invece che a casa propria. Servizi pubblici monolingui (italiani o tedeschi che siano), darebbero esattamente questa sensazione, agli uni o agli altri, e non è neanche piacevole dovere ad ogni sportello e in ogni ufficio affrontare o una guerra psicologica (per farsi capire e rispondere nella propria lingua), o l'umiliazione di non capire bene o di non esprimersi bene. Soprattutto le persone meno colte, più anziane, socialmente meno difese ne pagherebbero il prezzo più alto. L'altra versione della stessa esclusione linguistica, anch'essa indesiderabile, sarebbe una società a "doppi sportelli": servizi divisi per italiani e tedeschi, dove in nome della semplificazione linguistica (evitare la complicazione del bilinguismo) alla fine ognuno si ritroverebbe nel proprio ghetto etnico, magari rassicurante a prima vista, ma pernicioso nel lungo periodo, perchè indebolirebbe enormemente la lealtà verso una casa comune, senza distinzione di lingua (senza parlare degli ingenti costi aggiuntivi). (3)

Assai meno nobile il secondo argomento, che finisce per essere sostenuto con particolare fervore (vedi la presa di posizione del senatore Ferrari sull'Alto Adige di pochi giorni fa), tanto da cancellare quasi il primo: se costruiamo intorno a noi una barriera di obblighi e divieti, ci metteremo insieme al riparo da concorrenze indesiderate: tedeschi ed italiani insieme... contro "i marocchini", "i terroni", "gli europei" e quant'altri volessero un giorno concorrere da noi ad un posto di lavoro. Tutti uniti in nome dell'egoismo, che da etnico potrebbe diventare territoriale. I sentimenti di esclusione che in tal caso si sollecitano, non riguardano l'altro gruppo linguistico locale, ma il resto del mondo. (3) (cambio video silenzioso 1 – schermo vuoto)

ALEX: “Me la ricordo quella storia…Si è rivelata un’arma a doppio taglio. Prima i tirolesi di lingua tedesca contro tutti, poi tirolesi, ladini e italiani contro tutti…Bel passo in avanti”

OMBR : “Ma dove sei ? (Alex si è rannicchiato nel frattempo in un angolo….). Non serve a niente ripensare a quei tempi con quell’atteggiamento. Hai fatto fare passi avanti comunque… E lo sai… Ora, attento,  c’è il pezzo che conosci meglio…la polpa…la Yugoslavia…”

ALEX: (turandosi le orecchie)”… Lascia stare…abbi pietà…”
OMBR: (si avvicina al lettore n 3, lo abbraccia e lo invita a leggere con un cenno della mano…)(inizio video silenzioso 2)

LETT 3: “In questa guerra che, secondo me, è lontana dall'essere conclusa e che sta coinvolgendo i nostri dirimpettai dall'altra parte del mare Adriatico, credo che si sia visto - è un po' un paradosso - la più grande operazione di solidarietà e al tempo stesso la più grande dimostrazione d'impotenza. La più grande mobilitazione solidaristica in quanto mi sembra che, in tempi recenti, non ci sia mai stata in Europa una situazione di guerra in cui cosí tante persone, stimabili forse in più di centomila, sono state coinvolte, non da soldati ma come civili, recandosi direttamente sul posto (e non solo offrendo denaro o ospitando profughi) per fornire qualche tipo di aiuto, sempre in qualche modo pensato come aiuto contro la guerra: nella cura dei feriti, nel portare aiuti umanitari di ogni genere, nel partecipare ad incontri che servissero a far incontrare e riconciliare etnie e popoli diventati tra loro estranei o addirittura nemici feroci.

Questi interventi sono costati talvolta anche la vita e vi hanno partecipato in tanti da tutt'Europa, in tante forme di volontariato civile. Tanto più deve stupire che di fronte a tutta questa realtà, a livello degli stati non si trovi o non si voglia trovare una possibilità di intervento per cercare soluzioni, o almeno per evitare che il conflitto si estenda. Non certo per impadronirsi della situazione, togliendola di mano alla gente, che è una cosa di per sé mai giusta.

L'Europa politica e diplomatica in tutta questa vicenda ha dimostrato di avere un potere molto limitato, poiché in essa c'erano e ci sono punti di vista e interessi molto contrastanti. La domanda che ci possiamo fare e nella quale ci sentiamo più coinvolti è che cosa possa tenere insieme l'Europa e che cosa rischi di spaccarla. Guardando l'atteggiamento politico e diplomatico e, in piccola parte anche militare, dell'Europa nel recente passato vediamo che il sistema politico che aveva sotto il proprio controllo quasi metà del nostro continente, cioè il sistema degli stati comunisti e socialisti che faceva capo all'URSS (con alcune varianti, come quella della Federazione Jugoslava) era comunque un sistema di alleanze politiche, militari e di controllo economico, cioè un sistema che teneva insieme i diversi stati e le diverse etnie ad un costo relativamente alto, ossia la mancanza di libertà, di democrazia, di pluralismo politico, attraverso forti organismi di controllo e mezzi di disciplina politica ed economica. I compenso, in casi di conflitti, questi venivano regolati d'autorità, in alcuni casi con l'intervento militare (pensiamo all'Ungheria nel ‘56 o alla Cecoslovacchia o alla Polonia). I conflitti insomma avevano un loro modo di essere regolati e questo modo funzionava da una parte e dall'altra della cortina di ferro: all'URSS veniva riconosciuto una specie di diritto a sistemare all'Est le questioni e di "bacchettare" in tutti i modi possibili chi non ci stava; dall'altra parte lo stesso diritto veniva riconosciuto agli Stati Uniti.

Con gli eventi dell' ‘89 e del ‘90, questo sistema è crollato e tutta l'Europa si è trovata di fronte ad una nuova situazione, come in un dopoguerra, con la differenza che non c'era stata una guerra combattuta, non c'erano stati milioni di morti, né città bombardate, ma come dopo una guerra ci si sarebbe dovuti chiedere che tipo di ricostruzione si volesse.

La gente dell'Est europeo si aspettava di essere rapidamente accolta in una famiglia comune, ma anche tra loro c'erano aspettative diverse: chi era contrario al vecchio regime, chi lo rimpiangeva per la casa e il lavoro garantiti, chi aveva vissuto abbastanza bene, chi male. Mancavano obiettivi comuni o partiti politici e correnti di pensiero nuovi. Restavano alcune strutture ereditate dalla precedente situazione, i vecchi partiti comunisti, i sindacati, le chiese; si conservavano reminiscenze di precedenti culture nazionali. L'unica idea certa è che tutti pensavano di essere europei e di far parte di un' Europa comune.”

OMBR e ALEX  (si spostano in continuazione, alzano fazzoletti, accarezzano leggii, lettori e lettrici, a volte sorridono, a volte si fanno seri. Si muovono lentamente ma con determinazione.)

LETT 4; “L'Europa occidentale aveva dimostrato dopo la II guerra mondiale, pur compiendo molti errori, che è possibile avanzare su una strada di integrazione, di avvicinamento e di istituzioni comuni, senza annullare la dignità di nessuno (basti pensare alla pari dignità di stati come il Lussemburgo o la piccola Irlanda); inoltre erano stati eliminati i conflitti tra le nazioni storicamente nemiche e, per favorire il processo di integrazione, si erano unite le economie e molte istituzioni, allontanando sempre di più il pericolo di una guerra interna.

Tutto ciò rappresentava una grande speranza per la maggior parte delle popolazioni dell'Est. Dopo la grande retorica della caduta del muro, a queste aspettative l'Europa ha risposto in modo un po' duro, facendo prevalere valutazioni sulla loro economia agricola, il livello di progresso industriale, lo stato delle istituzioni delle nazioni: tutto vecchio, tutto da riformare, niente in grado di entrare nel mercato europeo. Di fatto l'apertura dell'Europa nei confronti di queste nazioni è stata molto lenta attraverso un sistema che potremmo chiamare di sale d'attesa, finché nel giro di due o tre anni praticamente in quasi tutti i paesi post-comunisti si sono verificati fenomeni di forte riflusso. Infatti la disciplina sul lavoro è diminuita, molte fabbriche hanno chiuso e il passaggio al sistema economico occidentale nell'immediato ha significato un peggioramento delle condizioni di vita, una minore sicurezza sociale, una perdita di potere di acquisto delle monete locali. Solo pochi paesi erano abbastanza pronti per lanciarsi sul mercato a livelli competitivi e nella maggior parte dei casi l'economia generale ha risentito di un grave peggioramento.” (4) (cambio video silenzioso 4)

ALEX: (si è alzato…. mostra sempre più interesse, anche se il viso è triste, pensieroso, assorto;….si è avvicina ai lettori, ma distante da OMBR…)

OMBR: “Pensavo di vederti più partecipe….Invece sei perplesso, disilluso. Ti sei rassegnato ai conflitti? Allarghi le braccia anche tu? E allora chi ha scritto: …

LETT 5 :  Oggi siamo ad un punto in cui intervenire è più difficile; chi ha già conquistato non cede territori e dove la convivenza è stata distrutta difficilmente si ricostruirà.

Questo ci riporta all'interrogativo precedentemente esposto: ha senso fare un'unione europea o si rischia di trovarci fra dieci anni a parlare di ex Europa? Per rispondere a questa domanda bisogna in particolare chiedersi cosa tenga insieme la gente e cosa la separi e se noi cercassimo di dare una risposta vedremmo che ogni fattore che la tiene unita la può anche dividere e viceversa. Ad esempio un fattore che potrebbe unire l'Europa sarebbe l'economia, il mercato comune; d'altra parte il mercato potrebbe diventare anche causa di guerra per accaparrarsi risorse, ecc. Può essere elemento di coesione un comune ideale; ma quando questo si rivelasse un insuccesso o andasse in crisi si tramuterebbe velocemente nel suo contrario. Tengono insieme le comunicazioni, i frequenti scambi; ma possono essere anche motivo di lite su chi deve controllare le comunicazioni (pensiamo al canale di Suez, allo stretto di Gibilterra...): ogni punto nodale è sempre stato oggetto di contesa. Altri elementi di unione possono essere la lingua, la cultura, perché danno un senso di identificazione, di familiarità, ma anch' esse possono tradursi in motivi di conflitto. Non esiste di per sé una ricetta per convivere insieme; oggi, se vogliamo andare avanti verso una costruzione dell'Europa che non ci porti tra dieci anni alla situazione attuale della ex Jugoslavia, é essenziale che in tutti gli ordinamenti si prevedano gli elementi e le istituzioni favorevoli alla convivenza, che si costruiscano cioè dei vincoli che in qualche modo limitino l'egoismo, l'espansione, l'autoaffermazione di qualcuno contro tutti gli altri, senza eliminare le diversità, ma favorendola e integrandola nello stesso tempo.”  (4) (continua video silenzioso 2)

ALEX: “Ehi, ehi, …ripeti un po’ l’ultimo passaggio…  “vincoli che in qualche modo limitino l’egoismo eccetera, eccetera, eccetera – (accompagnando le ultime pariole con un cenno della mano)- …Belle parole…chi le ha scritte??

OMBR : “…Vedo che non ti basta ancora…caro Alex…; forse…forse questo ti dà la scossa giusta…”

LETT 6 “ Dopo la manifestazione in piazza, ci riceve Jacques Chirac in persona, una dozzina di noi vengono ammessi a riunirsi con lui e con il ministro degli esteri Hervé de la Charette, mezz’ora prima dell’inizio del vertice: al nostro appello risponde che sì, liberare Sarajevo dall’assedio è una priorità, ma che non esistono buoni e cattivi, e che non bisogna fare la guerra. Ci guardiamo, la deputata verde belga Magda Aelvoet e io, entrambi pacifisti di vecchia data: che strano sentirsi praticamente tacciare di essere guerrafondai dal presidente neo-gollista che pochi giorni prima aveva annunciato la ripresa degli esperimenti nucleari francesi nel Pacifico!

Ed ecco quanto avevamo elaborato e firmato in tanti:

Dopo tre anni tutti noi, umili o potenti, assistiamo al quotidiano ormai banalizzato di una guerra i cui bersagli sono donne, bambini, vecchi, deliberatamente presi di mira da cecchini irraggiungibili o colpiti da obici mortali che sparano dal nulla. Ci volevano dunque tre anni e, soprattutto, una presa di ostaggi dei caschi blu, fatto senza precedenti nella storia della comunità internazionale, perché leadership politiche e media europei riconoscano che in questa guerra ci sono aggressori ed aggrediti, criminali e vittime. Tre anni di una politica inutile di “neutralità” che ci ha privato di ogni credibilità presso i bosniaci e di ogni rispetto da parte degli aggressori.

Ormai siamo arrivati a un punto di non-ritorno.

O tiriamo le conseguenze che si impongono e rafforziamo la nostra presenza - mandato dei caschi blu, presa di posizione netta di fronte agli aggressori - e, in fin dei conti, rifiutiamo di essere complici della strategia di epurazione e di omogeneizzazione della popolazione della Bosnia, oppure cediamo al ricatto intollerabile delle forze serbo-bosniache, ritirandoci dalla Bosnia ed infliggendo così alle Nazioni Unite la loro più grande umiliazione proprio mentre si celebra il cinquantenario della fondazione dell’ONU.

Oggi più che mai in passato dobbiamo armarci di dignità e di valori. E soprattutto ripetere quel “mai più” che risuona in tutta Europa dalla fine della seconda guerra mondiale. Oggi più che mai in passato dobbiamo difenderci, in Bosnia, contro coloro che spingono all’epurazione etnica e religiosa come ideale politico e lo impongono perpetrando crimini contro l’umanità.

Se la situazione attuale è il risultato delle politiche disordinate, rinunciatarie e contraddittorie dei nostri governi, l’Unione europea in quanto tale è rimasta muta, impotente, assente” (5)  (fine video silenzioso 2) .  (A questo punto restano tutti fermi immobili per qualche secondo; poi lentamente diminuisce l’intensità della luce fino ad azzerarsi). (Pochi secondi dopo ricompaiono i soli ALEX e OMBRA vicino ad un tavolino con due sedie. Restano i leggii ma non c’è più nessun altro).

(COMMENTO MUSICALE intermedio)

OMBRA: “Ancora un momento…un pizzico di attenzione ancora e poi farai le tue considerazioni…Questo articolo te lo ricordi  (gli indica un foglio di giornale…):  “Oggetto di negoziato internazionale sono, normalmente, argomenti come confini, armamenti, zone di pesca, quote lattiere, contingenti militari e cosi via. Nel "vertice della terra" che le Nazioni Unite hanno convocato a Rio de Janeiro, poche settimane addietro, un altro tipo di negoziato internazionale e stato sperimentato per la prima volta: sul tavolo una sorta di trattato di pace tra gli uomini e con la natura, ed anche se poi quel trattato (che avrebbe potuto degnamente chiudere il periodo della guerra fredda) in realtà non ha preso corpo, è già assai importante che si sia indicata una nuova direzione. Se si guarda alla Conferenza delle Nazioni Unite al di la dei singoli temi di discussione e trattativa (il clima, la biodiversità, le foreste, i consumi energetici, la questione demografica...), salta agli occhi un aspetto centrale, che il capo della delegazione statunitense William Reilly (capo dell'agenzia Usa per l'ambiente e non supinamente sdraiato sulla linea intransigente de presidente Bush), ha efficacemente sintetizzato, dicendo: "American life-style is not up for negotiations" lo stile di vita americano non e oggetto di negoziato. Perché, in effetti, parlare di inquinamento e di giustizia energetica, di povertà e di salvaguardia della molteplicità delle specie non ha a che vedere solo con l'Economia e la Politica, con le maiuscole, ma c'entra moltissimo con la nostra vita di tutti i giorni. Finché un americano medio "pesa" sulla biosfera quanto circa ottanta abitanti medi dell'India, non ci sarà accordo internazionale che potrà coniugare "ambiente e sviluppo", come in modo ambizioso la "cupula de la Tierra" si era proposta. Se India, Cina e Brasile raggiungessero un livello di motorizzazione ed industrializzazione pari all'Italia o alla Francia, il nostro pianeta sarebbe al collasso: l'inquinamento si raddoppierebbe. "Guardando le nostre società ci rendiamo conto che molto resta da fare. Coloro che beneficiano della crescita economica sono riluttanti ad abbandonare i comportamenti consumistici; quelli che aspirano a raggiungere un giorno questi comportamenti, sostengono l'idea dello sviluppo ad ogni costo; tutto questo, mentre molte persone non possono soddisfare i propri desideri perché al di sotto delle condizioni minime di vita. Abbiamo capito che la "società sostenibile" si costruisce a partire dall'iniziativa e dalla partecipazione dei gruppi, delle comunità locali e dei popoli. Valorizzare le piccole esperienze e soluzioni, promuoverle su scala regionale, nazionale e mondiale fa parte integrante del nostro lavoro. Ai propositi di integrazione tout-court del Sud del mondo nel mercato internazionale, noi proponiamo come alternativa l'integrazione dei popoli nella lotta per un futuro giusto e democratico": cosi si legge nella "Dichiarazione di Rio" degli organismi non governativi, che e stata elaborata dal Forum delle Ong brasiliane con l'appoggio del Third World Network, dell'Alliance of Northern Peoples on Environment and Development e sostanzialmente tutti gli organismi di solidarietà e cooperazione presenti a Rio. Il messaggio e molto semplice e chiaro: se volessimo generalizzare il nostro stile di vita del nord industrializzato del mondo a tutto il pianeta, o questo pianeta scoppierebbe, o ci sarebbe bisogno di qualche colonia spaziale per trarne energia e materie prime e collocarvi i rifiuti. Ecco perché la questione degli stili di vita delle persone e della comunità tocca direttamente gli argomenti del negoziato di Rio e provoca delle conseguenze di fondo sul futuro di tutti. Senza la scoperta (o riscoperta) del gusto e della capacità di vivere senza un'infinita di protesi tecnologiche, senza il nostro attuale superamento energetico ed alimentare e senza un'alienazione da trasporto senza pari sarà inevitabile che nella scelta sempre più netta tra sviluppo blindato dei ricchi e condivisione planetaria (con la necessaria contrazione nei paesi più "sviluppati") la gente appoggerà massicciamente la prima opzione, ritenendosi mutilata da ogni autolimitazione e punita da ogni comportamento meno rapace ed aggressivo. La semplicità di vita e il vero obiettivo proclamato dal "vertice della Terra": cosi rivoluzionario da non poter essere iscritto in un trattato.”

 

ALEX : “Stop…stop, stop. Fermati. Ma che vuoi da me? Vuoi farmi i complimenti? Oh…quanto sei bravo…Hai capito prima degli altri…Hai previsto tutto… Hai visto il futuro… ; per favore…Sai benissimo che lo schermo che mi sono costruito (e che mi hanno costruito) ad un certo punto si è rotto. E’ venuta fuori la verità. Ti ricordi che già ad una mia ex alunna di liceo scrissi. «La mia vita si è fatta molto difficile negli ultimi mesi, sono - o mi
sento - impegnato da tante parti e ciò ha portato con sè crisi eangosce...  Queste e altre circostanze interne ed esterne mi spingono in questo momento a stringere i denti e per quanto possibile a portare a compimento quanto ho già iniziato senza caricarmi di nuovi pesi». La montagna da scalare era sempre più grande, ingombrante, talmente alta da dare l’idea di innalzarsi il doppio dei metri che facevo. La “montagna” è grande e complicata…non è un sentiero facile. Ci vuole studio, applicazione. Ci vogliono reti positive. Ci vogliono amicizie vere. Mai soli…Mai uno contro tutti.

OMBR: (Non parla…guarda ammirata e sorride…poi prova a dire qualcosa…): “Vero. La montagna è grande, immensa…a volte partorisce un topolino piccolo piccolo ma, caro Alex, a volte può essere spianata dalle idee. E, lo sai, tu l’hai spianata…Ma non te ne sei accorto” .

 

(COMMENTO MUSICALE FINALE)

 

 

UNA MONTAGNA TROPPO GRANDE…

Prima bozza (*)

Testi tratti da  

 

.1. LatinaTu.   “Il portatore di speranza. Alexander Langer”.    Iniziativa pubblica   .  16  settembre  2020  (a cura di Emanuele Coletti)

.2. 4.7.2018, Mediterraneo Dossier, Fondazione Girolomoni

ALEXANDER LANGER TESTIMONE E PROFETA DEL NOSTRO TEMPO E PROTAGONISTA DELLA 'GENERAZIONE DEL '68'.
Marco Boato

 

.3.  21.1.1995, da l'Alto Adige. BILINGUISMO: PERCHÉ NON PENSARE ALLA PROMOZIONE INVECE CHE ALLE SANZIONI?

 

.4. 5.2.1995, Il viaggiatore leggero. L'EUROPA E IL CONFLITTO NELL'EX-JUGOSLAVIA

 

.5.  25.6.1995, La terra vista dalla luna. L'EUROPA MUORE O RINASCE A SARAJEVO

 

.6. 1.7.1992, Dalla rubrica Stile di vita nel mensile "Senza Confine".

LA SEMPLICITÀ SOSTENIBILE

 

.7. Questo breve messaggio risale, dunque, a solo un mese circa dopo la
preparazione della "lettera di congedo" (ottobre 1993), mai inviata. In un testo personale e destinato a restare comunque riservato, Alex qui parla di "crisi e angosce", della necessità di "stringere i denti" per andare
avanti, ma senza "caricarsi di nuovi pesi".  MARCO BOATO: “ALEXANDER LANGER DIECI ANNI DOPO” . 31.7.2005, Introduzione al libro "Le parole del commiato" ed. Verdi del Trentino

 

 

 

 

 

………………

Postfazioni   (con interventi di Edi Rabini e Marco Boato)

La “Lettera di commiato”

Edi Rabini ha reso nota una bozza di lettera-commiato (scritta in italiano nel settembre 1993), che poi Alex decise di non diffondere:

“Per ragioni personali ed interiori che non intendo rendere pubbliche, decido di prendere congedo – non so ancora se a tempo o per sempre – dall’attività politica che svolgevo, in varie forme, ma sempre con forte convinzione ed impegno, ininterrottamente da decenni, e per tredici anni anche nelle istituzioni rappresentative. Di conseguenza mi dimetto dalle funzioni politiche che mi sono state affidate, in particolare dal mandato al Parlamento europeo, dove mi subentrerà Grazia Francescato, attuale presidente del WWF-Italia, che spero avrà l’opportunità di proseguire tale mandato anche nella prossima legislatura.

Ringrazio di cuore tutti coloro della cui fiducia, cooperazione e sostegno ho potuto godere, e ricordo con piacere i molti insieme ai quali ho seminato e, qualche volta, anche raccolto dei frutti”… Soltanto una bozza. E le decisioni elencate non hanno poi avuto attuazione. Ma poi il “congedo” è avvenuto. Tragicamente. Né solo dalla politica.

Solo dopo la sua morte è stato reso noto un messaggio inviato il 21 ottobre 1993 per fax, scritto in tedesco, ad una sua ex-allieva del Liceo classico di Bolzano, Eva Pattis: “La mia vita si è fatta molto difficile negli ultimi mesi, sono – o mi sento – impegnato da tante parti e ciò ha portato con sé crisi e angosce… Queste e altre circostanze interne ed esterne mi spingono in questo momento a stringere i denti e per quanto possibile a portare a compimento quanto ho già iniziato senza caricarmi di nuovi pesi”.

. Ecco il testamento di Alex Langer: Die Lasten sind mir zu schwer geworden, ich derpack’s einfach nimmer… “I pesi mi sono divenuti davvero insostenibili, non ce la faccio più. Vi prego di perdonarmi tutti anche per questa mia dipartita. Un grazie a coloro che mi hanno aiutato ad andare avanti. Non rimane da parte mia alcuna amarezza nei confronti di coloro che hanno aggravato i miei problemi”. “Venite a me, voi che siete stanchi e oberati”. “Anche nell’accettare questo invito mi manca la forza. Così me ne vado più disperato che mai. Non siate tristi, continuate in ciò che era giusto”    (quest’ultima parte ripresa da  Giovanni Bianchi.  “Uomo per gli altri” .  “eremo e metropoli” edizioni).

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